
All’interno di Via Fani ore 9.02, Romano Bianco e Manlio Castronuovo ricostruiscono la strage compiuta in via Fani dalle Brigate rosse da un punto di vista finora pressoché inedito: unicamente quello delle persone che hanno visto compiersi i tragici fatti.
Una pluralità di testimoni hanno infatti osservato strani avvistamenti già precedentemente al rapimento; si sono trovati nel mezzo del compimento del proposito criminoso brigatista; hanno scorto gli assassini nella fase della fuga. Via Fani ore 9.02 ci narra di tutto questo, seguendo un criterio cronologico.
Siamo dinanzi ad un libro che può benissimo accompagnare la lettura di altri pregiate opere riguardanti il delitto Moro. Al riguardo, è d’obbligo la menzione della ricerca condotta da Sergio Flamigni, con il suo La tela del ragno. Così come lo stesso riguardo deve valere per l’approfondimento di Giuseppe De Lutiis, Il golpe di Via Fani. Ad affrontare il tema sono anche Giovanni Fasanella e Claudio Sestieri con Giovanni Pellegrino nel libro Segreto di Stato.
Via Fani ore 9.02: i fatti antecedenti
La strage portata a compimento in via Fani richiese tempo per i preparativi. Difatti, l’onorevole Aldo Moro fu oggetto di appostamenti e controlli, operati da diversi individui. Le avvisaglie, gli episodi, che testimoniano di queste attività, ci furono. Lo sappiamo perché molteplici sono le persone a riferire di movimenti sospetti.
Siamo a conoscenza del fatto che il presidente democristiano fu ricettore di minacce più o meno esplicite, già da tempo molto antecedente al rapimento. Non sembra un caso che, fin da tempo addietro, sia lo statista che il personale della sua scorta avevano richiesto di essere dotati di un’auto blindata. Nonostante la posizione ricoperta da Aldo Moro, la richiesta non venne accolta.
A tal proposito, occorre ricordare anche una storia poco conosciuta ma molto inquietante. Nel primo dei cinque numeri della rivista Il Bagaglino, apparve un articolo che, sotto la veste della satira, descriveva le modalità attraverso cui compiere un attentato ai danni di Aldo Moro. Di satira non c’era nulla. Siamo nel 1968 e chi scrive, forse su consiglio di altri, dimostra una approfondita conoscenza delle abitudini dello statista. Si spinge finanche ad ipotizzare il luogo per il compimento del delitto, che molto si approssima a via Fani, dove poi effettivamente le Brigate rosse agirono.
Le istituzioni erano consapevoli del rischio cui era soggetto Aldo Moro, ma nella migliore delle alternative venne sottovalutato.
L’auto con targa del Corpo diplomatico
Ancora, occorre un cenno alle auto utilizzate quel giorno, per una delle quali colpisce che venne dotata di targa diplomatica. Ed ha una storia che risulta particolare. Originariamente appartenente ad un’auto del personale dell’Ambasciata del Venezuela a Roma, venne rubata nel 1973. Tre anni dopo, nel 1976, il Ministero dei Trasporti riemise nuovamente quel numero di targa, tuttavia nel nuovo formato: non più quadrata e metallica, bensì rettangolare ed in plastica. Arrivando poi al gennaio 1978, quando l’Ambasciata del Venezuela restituì la targa nel nuovo formato, che pertanto venne definitivamente annullata.
Tuttavia, sappiamo che, nei giorni precedenti il rapimento, i terroristi furono visti più volte girare con quell’auto, anche nel fare manovre piuttosto spericolate in strada. Inoltre, quell’auto con targa del Corpo diplomatico fu vista in possesso di individui recatisi presso l’ambasciata dell’Iraq.
Qual è il legame in tutto ciò? Resta l’interrogativo. In aggiunta, perché i brigatisti si sentivano così sicuri nell’utilizzare normalmente, facendosi anche notare, un’auto dotata di targa diplomatica annullata, peraltro in vecchio formato?
Via Fani ore 9.02 e i testimoni presenti
Molteplici sono i testimoni dell’agguato portato a compimento in via Fani dagli stragisti brigatisti. Alcuni vi hanno assistito finanche da pochissimi metri di distanza, altri da finestre e balconi di casa. E ognuno offre la sua prospettiva con la propria ricostruzione di ciò che ha visto. Restano i dubbi, mai chiariti e su cui non si è voluto indagare: quante persone hanno effettivamente partecipato al proposito criminoso?
La versione brigatista – della quale si è avuto modo di saggiare, in diversi ambiti, la menzognera ricostruzione dei fatti – non trova riscontro. I testimoni presenti e i riscontri in sede d’indagine offrono prospettive diverse. L’incertezza si palesa non soltanto su quanti brigatisti fossero presenti in via Fani; anche su chi può averli fiancheggiati lungo il percorso.
Il sospetto è non soltanto sui presenti nel luogo della strage: secondo alcuni, infatti, non si trattò soltanto di appartenenti alle Brigate rosse. È d’interesse già la semplice vicenda della moto Honda: vista da molti in via Fani, anche da appartenenti all’autorità fuori servizio, molti ne negano la presenza. Non può sostenersi l’affermazione che non fosse mai esistita: dalla moto, una delle due persone in sella sparò diversi colpi d’arma da fuoco. Una delle ipotesi avanzate è che si sia trattato di membri dell’Autonomia operaia di Roma. Questi, avendo appreso il proposito criminoso dei terroristi, si sarebbero anch’essi recati in via Fani e sparato alcuni colpi.
Lo Stato era presente?
Ancora, almeno una persona, che si è scoperto poi essere appartenente all’organizzazione paramilitare Gladio – il nome italiano per identificare la rete occulta atlantica in funzione anticomunista, nota come Stay Behind -, era lì presente quella mattina. Ufficialmente per recarsi a pranzo da un amico, l’invitante smentisce la parte del convito: d’altronde, l’orario di arrivo dell’invitato non consente di sostenere l’ipotesi.
Su quanto abbia influito l’organizzazione atlantica nella storia d’Italia e le implicazioni nella strage di via Fani, di sicura lettura deve essere il libro Sovranità limitata, scritto da Antonio Cipriani e Gianni Cipriani. Un elicottero, inoltre, subito comparve sopra via Fani e sembra che seguì il percorso delle Brigate rosse. Ufficialmente elicotteri in volo non ve ne erano: l’interrogativo – mai chiarito – è a chi apparteneva?
Il percorso di fuga
Resta, poi, ancora privo di logica il percorso asseritamente seguito dagli assassini nella loro fuga. Vi sono testimoni che gli individuano lungo la strada, ma fino ad un certo punto, per poi svanire definitivamente alla vista. Si tratta di un percorso perlopiù privo di logica. Frutto anche di ritrattazioni, gli stessi brigatisti non concordano sulla strada seguita. Diventa, pertanto, difficile affermare con certezza che abbiano agito così come riferiscono le Brigate rosse.
I brigatisti hanno reso più volte affermazioni tra loro contrastanti e menzognere, è un fatto. Sempre in merito alla fuga, è sufficiente il riferimento al ritrovamento delle tre auto utilizzate per il delitto. I terroristi affermano il loro abbandono in contemporanea; testimoni e fatti – finanche riprese televisive – li smentiscono. Più in generale, a sottoporre ad una ampia analisi il racconto brigatista è stato Alfredo Aldo Moro, con il suo libro Storia di un delitto annunciato, di cui è raccomandata la lettura.
Infine, è bene richiamare un diverso tipo di testimonianza: quella di chi si è adoperato nelle trattative per la liberazione di Aldo Moro dalla prigionia. Delle diverse trattative, con le parole di alcuni protagonisti, ci rende edotti Alessandro Forlani in Testimoni inconsapevoli. Un buon libro per completare il quadro della vicenda.
Gli autori, con il loro libro Via Fani ore 9.02, fanno un buon lavoro per svelare quelle falsità: riportano cose che più persone hanno visto e legittimamente pongono diversi interrogativi su come si sia svolta effettivamente la tragica vicenda.